Luci ed ombre del c.d. Decreto Balduzzi

Il D.L. n. 158 del 13/9/2012 recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutele della salute”, più noto come “Decreto Balduzzi”, convertito, con modificazioni, nella L. n. 189 dell’8/11/ 2012, che ha modificato il regime della responsabilità professionale medica, ha suscitato fin dal suo esordio, oltre che alcune perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale delle nuove norme, non poche critiche, non solo sotto il profilo tecnico-giuridico, ma anche sul piano dei valori ad esso sottesi.
Alcune giuste, altre francamente no.
La norma fondamentale di tutto l’impianto (definita ad professionem, in quanto si applica soltanto nei confronti degli operatori sanitari) è il tanto discusso art. 3 comma 1 che recita testualmente: <l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo >.
Chiari sono gli intenti del legislatore: limitare la responsabilità penale per colpa del personale sanitario, anche per scoraggiare il ricorso alla medicina difensiva, e arginare la proliferazione del contenzioso in tema di responsabilità medica che negli ultimi anni ha invaso le nostre aule di Giustizia.
Per conseguire questi risultati il legislatore ha depenalizzato la colpa lieve in caso di osservanza delle cd. guidelines e alle buone pratiche accreditate dalla community scientifica.
L’unico obbligo previsto è quello di risarcire il danno provocato, ex art. 2043 c.c..
La soglia della punibilità è superata solo in caso di dolo o colpa grave.
Si tratta di una norma poco rispettosa dei diritti dei pazienti lesi?
Chi lo afferma osserva che in caso di colpa lieve il paziente è privato della <possibilità di avvalersi dell’azione pubblica> e di accodarsi all’acquisizione probatoria del pubblico ministero e quindi fruire di un’attività investigativa che altrimenti non potrebbe sostenere con una mera azione civile.
Il che è vero, ma non desta soverchia preoccupazione.
Il sanitario, infatti, risponde per colpa lieve principalmente per le operazioni di routine.
Il tal caso, la sua responsabilità è ancorata al semplice mancato raggiungimento del risultato.
Il Decreto Balduzzi riconosce l’esimente pe¬nalistica della colpa lieve, ma non anche la sua irresponsabilità civilistica: l’irrilevanza in sede penale non esclude pertanto la responsabilità ai fini risarcitori civile, secondo i parametri generali.
Sembra invece apprezzabile la scelta legislativa di non criminalizzare ogni condotta illecita, anche nell’ambito dei trattamenti sanitari.
La sanzione penale dovrebbe sempre rappresentare, infatti, solo un’ extrema ratio.
Il modo, piuttosto goffo, con il quale il legislatore ha tentato di concretizzare le sue buone intenzioni ha attirato sul provvedimento legislativo le critiche più meritate.
Il riferimento alle cd. guidelines urta contro il principio di tassatività penale, anche perché il decreto Balduzzi non offre alcun criterio di individuazione e determinazione delle stesse.
La previsione legislativa, tra l’altro, sembra, ingiustificatamente premiale per coloro che manifestano acritica adesione agli indirizzi burocratici ed eccessivamente penalizzante per chi, in relazione alle circostanze del caso concreto, a ragion veduta, e, a questo punto, a proprio rischio, se ne discosta.
Il tutto a scapito anche del progresso scientifico e della sperimentazione clinica.
Al di là del fatto che non è chiaro come il sanitario che si attiene a linee guida e best practices possa versare in colpa lieve, la legge introduce inoltre un’ipotesi di non punibilità dai confini incerti.
Nel nostro ordinamento penalistico la colpa lieve, infatti, non solo non viene definita, ma è solo un grado della colpa da valutare per la quantificazione della pena.
La gravità della colpa, cioè, rileva per il quantum respondeatur e non sull’an respondeatur.
Nel cd. Decreto Balduzzi, invece, costituisce un’esimente.
Peraltro, le sentenze di condanna fondate sulla colpa lieve erano già residuali, per cui se la ratio legis era anche quella di deflazionare il contenzioso il risultato non poteva che essere modesto.
In dottrina, cfr Buzzoni, Responsabilità medica e sanitaria. La riforma Gelli. FAG, 2017; Montanari Vergallo. La nuova responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco, Dike Giuridica Editrice 2017, Responsabilità sanitaria: tutte le novità della legge «Gelli-Bianco»,Giuffrè, 2017

 

 

 

 

Pubblicato da Giovanni Anania

Avvocato in Torino

Una risposta a “Luci ed ombre del c.d. Decreto Balduzzi”

  1. Mi auguro soltanto che la distinzione tra culpa levis e culpa lata introdotta dalla legge Balduzzi sia da stimolo per rivedere la materia della colpa penale, al fine di riportarla entro gli schemi di un sistema capace di individuare e regolare in maniera efficiente le situazioni realmente problematiche, grazie a una più equilibrata considerazione di tutti i fattori in gioco.
    Da ciò ne dovrà conseguire quello che oggi tutti auspichiamo: un giusto contemperamento tra le istanze di giustizia e il sereno svolgimento della professione medica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.