La responsabilità del medico specializzando*** (Guest Post)

Nella formazione specialistica si delineano così due diverse posizioni: quella dello specializzando che, trovandosi in fase formativa, ha il diritto-dovere di richiedere l’apporto tecnico di chi è deputato alla sua crescita e quella del formatore che, avendo il compito di guidare lo specializzando lungo un complesso itinerario culturale, ha il dovere di essere presente ed evitare che il collega tutelato si trovi in momenti di smarrimento per mancanza di indirizzo, per impossibilità culturale a prendere una decisione tecnicamente fondata o per dubbi sul proprio ruolo e sui limiti della propria azione.

Il d.lgs. 17 agosto 1999 n. 368, emanato in attuazione della direttiva 93/16/CEE, ha introdotto una sostanziale novità: il medico, all’atto dell’iscrizione alla scuola di specializzazione, stipula uno specifico contratto di formazione-lavoro, finalizzato esclusivamente all’acquisizione delle capacità professionali inerenti al titolo di specialista. In questo modo viene riconosciuto al medico specializzando lo status di lavoratore e non più di studente, come invece sancito dalla normativa precedente.

Uno dei principi fondamentali cui era ed è tuttora ispirata la più recente normativa comunitaria è quello contenuto nell’art. 24 comma 3 del d.lgs. n. 368/1999, in cui si stabilisce che “la formazione a tempo pieno implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l’intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno”.

Il medico specializzando deve quindi esercitare gradualmente ogni aspetto dell’attività specialistica, raggiungere progressivamente un’autonomia decisionale ed operativa ed essere impiegato in attività istituzionale di tipo diagnostico e terapeutico. In definitiva lo specializzando, partecipando a tutte le attività mediche, si inserisce con estrema facilità nei compiti assistenziali, sino a confondersi con il personale medico strutturato.

Lo svolgimento di tale attività coesiste con la necessità di un confronto costante e continuo con colui che è deputato alla formazione dello specializzando ed ha l’obbligo di verificare costantemente e discutere criticamente con l’interessato ogni prestazione lasciata all’autonomia gestionale dello specializzando.

Ovviamente nel rapporto con il paziente deve sempre essere chiaro che quel sanitario è uno specialista in formazione, che la sua presenza è tale solo ai fini dell’apprendimento e che non può in alcun modo, per tali ragioni, decidere o modificare il piano terapeutico condiviso con il medico strutturato; la qualifica del ruolo di un sanitario incaricato di attività clinica su un paziente sono infatti elementi essenziali e presupposti di validità della manifestazione del consenso, che sta alla base del rapporto tra medico e paziente.

Appare quindi evidente che nulla potrebbe e dovrebbe fare lo specializzando senza il controllo e senza la direzione del medico strutturato.

Tale regola non sempre viene rispettata e lo specializzando si trova ad assolvere compiti originariamente riservati ai medici strutturati, quali la scritturazione della cartella clinica, la valutazione dei valori biochimici di laboratorio e dei parametri vitali con conseguente modificazione del piano terapeutico, la decisione e la attuazione di esami diagnostici, la somministrazione di medicinali in conseguenza della modificazione dello stato di salute del paziente.

Per conciliare da un lato la necessità di favorire la pratica necessaria per poter ottenere la specializzazione e dall’altro la necessità di evitare al paziente rischi inutili è necessaria una particolare attenzione e responsabilità del capo equipe, sia in eligendo, cioè nell’ammettere lo specializzando alla pratica diretta solo dopo adeguata preparazione, sia in vigilando, cioè nell’impiegare attenzione e prudenza maggiori nell’affidare singole operazioni allo specializzando con un criterio di gradualità progressiva in relazione alle attitudini ed all’esperienza dello specializzando stesso.

Sotto il profilo penale l’azione od omissione dello specializzando, siano esse frutto di decisione autonoma o manifestazione di un incarico ricevuto, sono oggetto di giudizio di per sé (secondo i noti parametri di valutazione dell’imperizia, dell’imprudenza, della negligenza, nonché dell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline) e chi ne risponde è esclusivamente l’autore.

Secondo la Corte di Cassazione il medico specializzando risponde pienamente, secondo i criteri di colpa, della salute del paziente affidato alle sue cure ed ha l’obbligo di rifiutare l’investitura di prestazioni rispetto alle quali si senta impreparato (Cass. Pen. Sez. IV 6 ottobre 1999, n. 13389).

Se lo specializzando, chiamato ad eseguire un intervento, non sia ancora in grado di cimentarsi con esso, per la scarsa esperienza maturata, deve astenersi dal prestare l’opera di cui viene richiesto. Se invece accetta di svolgere ed espletare l’incarico, il concreto e personale espletamento dell’attività da parte dello specializzando “comporta l’assunzione diretta, anche da parte sua, della posizione di garanzia nei confronti del paziente, condivisa con quella che fa capo a chi le direttive impartisce.”

Angelo Iannaccone

***pubblicato nel volume “La Responsabilità Medica” (atti del convegno), edito da Giuffrè 2013

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