Per l’assunzione della c.d. pillola del giorno dopo – da non confondere con il farmaco per l’interruzione volontaria della gravidanza noto come RU-486 – è necessario il previo rilascio di una ricetta nominativa non ripetibile.
Possono il medico ed il farmacista rifiutarne la prescrizione e la fornitura alle donne che lo richiedono per ragioni morali, religiose o comunque di coscienza?
Poiché la legge (L. n. 194 del 22 maggio 1978) prevede l’obiezione di coscienza esclusivamente in caso di interruzione volontaria della gravidanza, si è sviluppato, come noto, un dibattito interno che ruota intorno alla natura contraccettiva ovvero abortiva del farmaco.
Questo dibattito è stato alimentato dall’incertezza che regna sui meccanismi d’azione della pillola del giorno dopo.
In particolare, è dubbia l’efficacia del farmaco dopo l’ovulazione.
Normalmente il farmaco blocca l’ovulazione (cioè se somministrato prima dell’ovulazione agisce con un meccanismo di blocco di quest’ultima e, pertanto, può prevenire la fertilizzazione).
Sembra, tuttavia, che almeno in una percentuale ridotta di casi, tale farmaco agisce impedendo la gravidanza in una fase biologica in cui l’ovocellula è già fecondata, per cui viene ostacolato il suo annidamento in utero.
Il farmaco impedirebbe che l’ovulo fecondato (l’embrione) si impianti nell’utero materno.
In considerazione del suo possibile effetto antinidatorio, si è ritenuto legittimo invocare, quantomeno in via di interpretazione estensiva e/o analogica, il diritto all’obiezione di coscienza prevista dalla l. n. 194 del 22 maggio 1978.
Dal punto di vista dell’ordinamento generale non sembra però revocabile in dubbio che la legge 194/1978 preveda l’obiezione di coscienza solo in relazione ad una gravidanza accertata e documentata.
Già il T.A.R. del Lazio, nell’ormai lontana sentenza n. 8465 del 12/10/2001, aveva osservato che “l’esame sistematico della regolamentazione dettata dalla legge n. 194/1978 induce a ritenere che il legislatore abbia inteso quale evento interruttivo della gravidanza quello che interviene in una fase successiva all’annidamento dell’ovulo nell’utero materno”.
D’altro canto, secondo l’OMS la gravidanza non inizia con la fecondazione, ma con l’impianto dell’embrione nell’utero.
In buona sostanza, la prescrizione della pillola del giorno è da considerarsi un semplice metodo di contraccezione post-coitale, che non può quindi rientrare nelle previsioni di cui alle l. 194/1978 perché agisce prima che si instauri una gravidanza e non la interrompe qualora sussistesse: laddove, infatti, la pillola del giorno dopo venga assunta tardivamente, cioè ad impianto dell’embrione nell’utero già avvenuto, essa non influisce in nessun modo sulla gravidanza.
Non solo, quindi, l’ordinamento non ammette la possibilità del medico di sollevare obiezione di coscienza, ma i medici ed i farmacisti che rifiutino di prescrivere o di dispensare questo farmaco rischiano un’imputazione per rifiuto d’atto d’ufficio (art. 328 c.p.) data l’urgenza di assumere tempestivamente il farmaco per evitare una gravidanza indesiderata.
La questione si complica quando si invoca una (mera) legittimazione deontologica al rifiuto della prescrizione della pillola del giorno dopo, a fronte della pretesa degli Ordini professionali di far prevedere i principi etici sulle norme statuali.
Si può essere contrari, per ragioni religiose o morali, all’uso e alla diffusione della pillola del giorno dopo anche riconoscendone la natura contraccettiva.
Non solo ancora note sentenze di condanne per medici che abbiano negato il diritto di accesso a questo farmaco.
Chi afferma tuttavia il diritto/obbligo morale dei medici o dei farmacisti di disattendere le norme generali che impongono agli uni e agli altri di prescrivere e dispensare il farmaco deve però tenere presente che le conseguenze sanzionatorie a carico di questi ultimi potrebbero essere gravi ed inevitabili.
Bibliografia, Concetti, La pillola del giorno dopo, VivereIn, 2001; Famigni- Melega, La pillola del giorno dopo. Dal silfio al levonorgestrel, L’Asino d’Oro 2010