Emotrasfusione: atto medico o sanitario?

La trasfusione è l’infusione di sangue come risposta a specifiche esigenze cliniche.
Tradizionalmente considerata un atto di stretta pertinenza medica, la trasfusione di sangue doveva, sotto il vigore della previgente normativa, essere prescritta ed effettuata dal medico, con l’assistenza dell’ifermierne.
Il D.P.R. 24 agosto 1971, n. 1256 «Regolamento per l’esecuzione della Legge 14 luglio 1967, n. 592, concernente la raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano» all’art. 91, infatti, recitava testualmente: “la trasfusione del sangue e degli emoderivati deve essere eseguita sotto costante controllo del medico”.
In particolare, si riteneva che spettasse solo al medico l’infissione dell’ago cannula nella vena, in quanto non trattasi di un’ operazione meccanica, ma di scelta operativa.
Potevano essere effettuati dall’infermiere il mero raccordo tra l’ago già infisso e la sacca ed altre operazioni ausiliarie.
Anche la valutazione della terapia e la reazione alle complicanze erano di competenza medica, per cui neppure la sorveglianza del paziente durante la trasfusione poteva essere delegata all’infermiere.
D’altro canto, ogni attività non prevista dal mansionario (D.P.R. 14/03/1974, n. 225), che consentiva agli infermieri solo le manovre emostatiche e di prelievo venoso del sangue, rientrava nell’ambito dell’atto medico.
In questo quadro normativo, anche la giurisprudenza si era pronunciata nel senso che alla stregua di ogni atto medico, la trasfusione non era delegabile agli infermieri “in tutte le fasi di preparazione e di esecuzione, ivi compreso il controllo sulla corrispondenza tra il sangue da trasfondere e il paziente” (Cass. Pen., IV sez. sent° n. 171/1982).
Al fine di ridurre il rischio della scambio di sacca o di paziente, negli anni ’90 si introduce la pratica del doppio controllo, da parte sia del medico che dell’infermiere.
Tuttavia, l’esecuzione dell’atto trasfusionale rimaneva del medico, competendo agli infermieri solo una parte del  regime dei controlli.
In applicazione dell’art. 12 della legge 107/1990 (disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati), che nulla stabiliva sul punto, la Commissione nazionale per le trasfusioni del Ministero della Sanità nel 1993 emanava le linee guida per la gestione dell’intero atto trasfusionale, che ancora definivano, infatti, la trasfusione di sangue “un atto medico”.
Al medico, dunque, competevano la prescrizione, l’effettuazione, la valutazione dell’efficacia e la sorveglianza e tutti i procedimenti assistenziali ad esso connessi.
Si trattava, peraltro, di un documento meramente orientativo, munito del più alto grado di raccomandazione, trattandosi di un parere richiesto dalla legge, ma privo di vincolatività atteso che non è mai stato fatto proprio dal Ministero della Sanità con un atto normativo di regolamentazione della materia.
La situazione muta con l’entrata in vigore della legge 26/02/1999, n. 42 «Disposizioni in materia di professioni sanitarie», che ha rivisto i criteri per l’esercizio professionale dell’infermiere abolendo il mansionario e sostituendo le previsioni di cui al DPR 14/03/ 1974, n. 225 con i criteri guida del profilo professionale, della formazione ricevuta e del codice deontologico, con il solo vero limite delle competenze previste per la professione medica.
Limite di natura professionale, non più normativa, stante la mancanza di norme generali che regolano l’esercizio della professione medica.
Solo quando si ritiene che debba essere presente la competenza, la capacità e l’abilità di un medico l’atto è da considerarsi da «atto medico».
Altrimenti, le relative competenze appartengono anche ad altri professionisti sanitari, diversi dai medici.
Anche in materia di trasfusioni gli infermieri e tutti gli operatori coinvolti si sono trovati ad agire così senza un limite preciso entro il quale mantenersi.
Essendo primarie ed esclusive responsabilità del medico la diagnosi e la prescrizione, certamente è ancora da considerarsi atto medico l’atto decisione della trasfusione.
La richiesta di sangue e di emocomponenti è dunque prerogativa del medico, e non è delegabile ad altra figura professionale.
Diverso è il discorso che riguarda gli altri passaggi della trasfusione di sangue (controlli, somministrazione, documentazione, verifiche, parametrazione ecc), le cui conoscenze sono proprie degli studi della laurea in infermieristica.
In questo senso, l’esecuzione di una trasfusione di sangue è applicazione di prescrizione diagnostica-terapeutica, che l’infermiere (ex DM 739/1994) è tenuto a garantire.
Conclusione corroborata anche da altre due considerazioni.
La prima è che legge 107/90, e con essa le obsolete linee guida emanate in attuazione dell’art. 12 delle stessa legge, è stata abrogata dalla legge 219 del 2005 (nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati).
La seconda è che le nuove raccomandazioni ministeriali (v. raccomandazione 2007 per la prevenzione da reazione trasfusionale da incompatibilità AB0), a differenza delle precedenti, prevendono che il controllo della sacca e l’identificazione del paziente devono essere effettuate “da parte di due operatori”, lasciando intendere che nella fase esecutiva e di controllo della trasfusione la presenza medica può essere superflua.
In conclusione, l’esecuzione della trasfusione, ivi compreso il governo delle reazioni, è atto sanitario che indifferentemente può essere posta in essere sia dal medico che dall’ infermiere in relazione alle esigenze organizzative, assistenziali e cliniche.

BIBLIOGRAFIA: Bugnoli, La responsabilità dell’infermiere e le sue competenze, Maggioli Editore, 2014; Barbieri, La responsabilità dell’infermiere. Dalla normativa alla pratica, Carocci. 2015;  Poli- Sardos Albertini-Del Giglio, La responsabilità infermieristia. Il manuale dell’infermiere professionale. Diritto, deontologia e casi pratici, Hygeia Press, 2013